Che cos’è e dove si trova il Vicolo dei Lavandai?
Situato in un anfratto del Naviglio Grande, lo storico vicolo, recentemente restaurato, è un gioiello architettonico molto ben conservato.
Si tratta di un luogo incantevole dove, con un pizzico di fantasia, si può tornare indietro nel tempo e immaginare le lavandaie, con le camicie legate in vita e i fazzoletti sul capo, mentre ricurve su se stesse lavavano i panni, immergendoli nel ruscelletto alimentato dal Naviglio Grande, chiamato anche dai milanesi el fossett.
Stavano inginocchiate sul “brellin” di legno (dal dizionario milanese-italiano del 1839 di Francesco Cherubini: il brellin è un “cassoncino, poco dissimile da una piciollissima biga, dove le lavandaje si accosciano ginocchioni per lavare i panni alla pietra. E’allogato sul margine di quel fossato ove stanno lavando”), strofinando quindi i panni sugli stalli di pietra ancora oggi visibili nel vicolo e lungo i Navigli milanesi.

Il vicolo dei Lavandai è dedicato alla forte corporazione maschile dei lavandai, la cosiddetta “Confraternita dei Lavandai di Milano” , come risulta anche dalla targa civica, risalente al 1700.
Sant’Antonio da Padova è il loro protettore e a lui è dedicato un altare nella chiesa di Santa Maria delle Grazie al Naviglio, ubicata a 100 metri circa dal Vicolo dei Lavandai, lungo l’Alzaia Naviglio Grande.
Tuttavia, a partire dall’inizio del ‘900, furono le donne ad occuparsi dei lavaggi, mentre gli uomini portavano a spalla fin qui le gerle di panni sporchi e incassavano il denaro. Forse proprio per questo motivo i milanesi chiamano ancora oggi questa via “il vicolo delle lavandaie”.

Pulizia e lavaggi di un tempo
La pulizia del corpo dei Milanesi era in origine affidata alla cosiddetta “pulizia secca”, cioè al cambio della biancheria; i frequenti cambi di abito, soprattutto degli indumenti bianchi, incrementavano il lavaggio a carico delle lavandaie. L’eleganza e la moda si associavano all’igiene personale: si lavavano perciò più gli indumenti che le persone e questa usanza era poco frequente tra chi di indumenti non ne aveva abbastanza.
Un tempo le lavandaie stavano inginocchiate sul “brellin” di legno, strofinando i panni sugli stalli di pietra ancora visibili nel vicolo. Il materiale, detersivo usato dalle lavandaie, era costituito dal cosiddetto “palton”, una paste semidensa a base di cenere, sapone e soda. Le mani delle donne sciacquavano, strizzavano, sbattevano e coprivano di cenere gli abiti per la cosiddetta “imbiancatura”. Nei casi più delicati si macerava preventivamente per 24 ore la biancheria con un misterioso impasto di escrementi di vacca e di bue e l’aggiunta di liscivia. Il sapone non esisteva e veniva sostituito di frequente da cenere e acqua bollente versate sopra un panno chiamato “ceneracciolo” disposto sopra i panni.

I lavatoi dei Navigli di Milano
Il lavatoio è rimasto in funzione fino alla fine degli anni ’50. Oggi i locali della vecchia drogheria che vendeva sapone, candeggina e spazzole alle donne impegnate al lavatoio, ospitano il ristorante El Brellin che, con i camini e i soffitti a cassettoni, ha mantenuto intatta l´atmosfera del luogo.
I molti lavatoi costruiti lungo i Navigli, fuori dalla cerchia interna, servivano la città e i nuclei rurali da dove provenivano le lavandaie al servizio delle famiglie Milanesi. Dentro la città di Milano erano presenti 19 lavatoi: 11 sono sul Naviglio Grande; 3 sono sul Naviglio della Martesana; 5 sono sul Naviglio Pavese. I materiali utilizzati per la costruzione dei lavatoi sono la pietra, il legno e il cemento.
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