Il percorso dei marmi: da Candoglia a Milano, passando per il Lago Maggiore, il Ticino ed infine il Naviglio Grande.
Come ormai tutti sappiamo, il Duomo di Milano è stato realizzato tramite l’utilizzo del marmo di Candoglia, un marmo di colore bianco/rosa o grigio che viene estratto nelle cave di Candoglia nel comune di Mergozzo (Verbano-Cusio-Ossola), in Val d’Ossola.
Ciò che invece è meno chiaro, è proprio il percorso che hanno compiuto questi marmi per arrivare fino a Milano, per esser poi lavorati nella cascina degli Scalpellini, poco distante dal Duomo.

La storia
Inizialmente, il Duomo di Milano doveva esser costruito in mattoni rossi, tipici del gotico lombardo, tuttavia, il Duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti, si accordò con l’arcivescovo, Antonio da Saluzzo, per una costruzione più imponente, al pari delle altre cattedrali europee. Per questo motivo scelse di utilizzare il marmo.
Inizialmente, la Fabbrica decise di servirsi del materiale ricavato dai massi erratici abbandonati nel territorio di Mergozzo e dintorni, definibile genericamente “serizzo”.
Le esigenze architettoniche e decorative dello stile gotico transalpino al quale intendeva rifarsi il Duomo, imponevano però l’utilizzo di un materiale che, oltre ad avere resistenza meccanica, presentasse la possibilità di essere lavorato nei più fini dettagli.

Il marmo di Candoglia: AUF
Dopo aver esaminato anche il marmo di Ornavasso, fu scelto il marmo di Candoglia, per via della sua qualità superiore, nonostante appartengano alla stessa lente marmorea,
Così, il 24 ottobre 1387, il Duca cedette in uso alla Veneranda Fabbrica del Duomo la Cave di Candoglia e concesse il trasporto gratuito dei marmi fino a Milano, attraverso le “strade d’acqua”.
“Decreto del Principe accordante alla fabbrica di asportare senza pagamento le pietre di sarizzo dai campi e dalla vigna di proprietà privata, nei vicariati di Locarno, Intra e Pallanza del Lago Maggiore”.
24 ottobre 1387 – Annali della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, Volume I (1387-1411)
Le cave da cui si estraeva il marmo erano tre: la cava della Fontana, la cava del Ciochirolo (cosiddetta per la campanella o cioca che chiamava gli operai al lavoro) e la Cava Superiore (o madre) in cima al monte.
Il trasporto del marmo fino a Milano avveniva dapprima sul fiume Toce, poi sul Lago Maggiore, passando successivamente lungo il Ticino a Sesto Calende e infine tramite il Naviglio Grande a Tornavento, per concludersi (inizialmente) al Laghetto di Sant’Eustorgio.
Successivamente, grazie all’invenzione della Conca di Viarenna (o Conca della Fabbrica, in quanto realizzata dagli ingegneri della Fabbrica del Duomo), le imbarcazioni arrivavano fino al Laghetto di Santo Stefano, a soli 300 metri dal Duomo di Milano.
I marmi, così come tutto il materiale trasportato per la realizzazione della Cattedrale, venivano contrassegnato con la sigla A.U.F., acronimo di “Ad Usum Fabricae“, in modo tale da esser riconosciuti alle varie dogane, in quanto questi erano esenti da ogni dazio e gabella.
Vediamo ora il percorso del marmo di Candoglia nel dettaglio.

Il percorso dei marmi del Duomo
Una volta estratti i blocchi di marmo dalle 3 cave, questi venivano fatti scivolare a valle, in modo molto pericoloso, lungo dei canali chiamati menori . Tuttavia, tramite questo sistema, il marmo si rompeva o si scheggiava molto spesso.
Così, successivamente, sono stati realizzati degli scivoli fatti di detriti o piode su cui i blocchi venivano fatti scivolare a valle col sistema della “lizzatura“: la lizza era in pratica una slitta costituita da tronchi o assi di legno su cui erano posti e legati i blocchi di marmo.
Questa era trattenuta da grosse corde di canapa ancorate a dei pioli, che venivano progressivamente allentate consentendo alla lizza di scendere a valle, e contemporaneamente davanti ad essa venivano poste delle assi di legno insaponati (chiamati curli), su cui scivolava.
Un lavoro tuttavia molto pericoloso per gli operai addetti al lavoro.

Dopo un primo lavoro di sgrossamento effettuato nei laboratori, una volta arrivati a valle, più o meno integri, il marmo era imbarcato (presso un porticciolo detto “piarda“) su barconi a fondo piatto che poi scendevano lungo il Toce fino ad immettersi nelle acque del lago Maggiore, in quello specchio d’acqua denominato golfo borromeo.
Scendevano quindi l’ultimo tratto del Lago Maggiore, quello considerato più pericoloso, che portava alla “paladella” (la chiusa di derivazione del Naviglio), infatti, lungo questo tratto, a bordo vi era spesso una guida, che aveva l’incarico di condurre l’imbarcazione in questo tratto difficoltoso.
Successivamente, le barche navigavano in direzione sud, fino a Sesto Calende, dove la guida scendeva per far posto al “navalestro“, che conduceva l’imbarcazione fino a Milano per oltre 50 km.
Da Sesto Calende iniziava il lungo e avventuroso viaggio sul Ticino, che veniva navigato con estrema difficoltà per la presenza di ben undici rapide fino a Tornavento, dove la velocità delle rapide arrivava anche a 15 nodi – tant’è che i naufragi erano parecchi..
Finalmente qui, le imbarcazioni che trasportavano i blocchi di marmo, che inizialmente erano grossi “zatteroni” (grandi barche fatte di legno e non di tronchi legati) venivano dirottate lungo il Naviglio Grande, sempre contrassegnate dalla scritta A.U.F. in quanto viaggiavano gratis (vedi il detto “a ufo” cioè gratis), grazie all’esenzione concessa dal Visconti.
Infine, dopo circa 50 km, raggiungevano il Laghetto di Sant’Eustorgio, luogo in cui il convoglio veniva preso in consegna dal “parone del fosso” che lo portava dentro la cerchia interna fino al Laghetto di Santo Stefano (fino al 1857, anno della sua chiusura), luogo in cui venivano sbarcati i marmi pronti per esser lavorati alla Cascina degli Scalpellini.
Qui il barcone, dopo esser stato scaricato, veniva riconsegnato vuoto al legittimo conduttore rimasto in attesa
“Per il viaggio di ritorno, le barche erano affidate ai “paroni” che, al traino di una dozzina di cavalli, riportavano le “cobbie” alla stazione di partenza. La risalita era ulteriormente vigilata da un fattore, detto anche fattore di terra, che seguiva l’intero percorso del convoglio“.
Da Sesto Calende, dal XVII al XIX secolo, transitavano i barconi con i marmi per la Fabbrica del Duomo di Milano, del Duomo di Pavia, della Chiesa di San Fedele di Milano, del Palazzo Ducale di Piacenza e, ogni anno, altri 140 barconi di pietre varie.

Tempi di percorrenza
I tempi di percorrenza variavano incredibilmente in base al tragitto, se andata o ritorno.
Andata (discesa): le barche, cariche di materiali, impiegavano circa 9 ore da Sesto Calende a Milano (e nel tratto fra Sesto e Tornavento, circa un’ora e mezza grazie alla forte corrente, che però doveva essere affrontata con grande maestria e non pochi rischi da timonieri esperti del tratto).
Ritorno (risalita): da Milano fino a Tornavento lungo il Naviglio Grande, inizialmente ci volevano ben 15 giorni, sfruttando 25 cavalli che tiravano un convoglio di 5 imbarcazioni. Successivamente, i tempi si ridussero a soli 3 giorni, grazie alla costruzione della strada alzaia lungo il Naviglio Grande (1824 – 1844).
Si dovevano inoltre rispettare gli orari di salita e discesa, mentre la notte non si navigava.
Rimaneva tuttavia l’ostacolo del tratto da Tornavento a Sesto Calende; dove per fare 25 km erano necessarie da una a due settimane, a causa delle pericolose rapide del Ticino.
Qua si dovevano slegare le barche e farle avanzare una a una, spesso portando parte dei cavalli sulla sponda opposta per combinare in modo opportuno la trazione.
I cavalli necessari per il traino dei barconi al ritorno, controcorrente, venivano imbarcati su un barcone del convoglio, sul quale era pure sistemata la modesta cucina e la cambusa.
Il tempo di percorrenza di andata, verso Milano, da Sesto Calende a Tornavento era di circa 90 minuti, mentre da Tornavento a Milano 8 o 9 ore.

L’ipposidra e la risalita dei barconi
Fu Carlo Cattaneo (1801-1869) a trovare per primo una valida soluzione per quel breve ma difficoltoso tratto fluviale.
Coadiuvato da Frattini e Besozzi, progettò circa 18 km di ferrovia ippotrainata, i cui binari sarebbero partiti da Tornavento per giungere fino a Sesto Calende: le barche che risalivano la corrente sarebbero state tolte dall’acqua e caricate su appositi vagoni ferroviari che robusti cavalli avrebbero trainato.
Finito il percorso ferrato, le barche, scaricate, avrebbero potuto essere rimesse in acqua per riprendere la navigazione.
La ferrovia sarebbe tornata utile anche per la discesa verso Milano, potendo le imbarcazioni così evitare le rapide del Ticino, lungo le quali spesso avvenivano perdite di carico (vedi il “Panperduto“), se non veri e propri affondamenti.

Cattaneo ebbe infatti un’idea geniale per l’epoca, fu il precursore del trasporto combinato: nel tratto fluviale più difficile, le barche avrebbero viaggiato sui grossi carri (come accade oggi per moltissimi camion che valicano le Alpi, caricati su vagoni a pianale ribassato).
Tuttavia, la sua realizzazione fu ostacolata inizialmente dal governo austriaco, che nel 1846 proibì la costruzione dell’Ipposidra perché – probabilmente – non voleva ferrovie private nel proprio territorio.
Nel 1848, dopo la cacciata degli austriaci dalla Lombardia, Cattaneo ottenne i permessi di costruzione, ma i lavori furono nuovamente bloccati prima dal ritorno degli austriaci e successivamente, nel 1850 dalla mancanza di fondi.
Dovette quindi aspettare il 1858 per l’inaugurazione.
L’inaugurazione dell’ipposidra
Dopo le necessarie autorizzazioni governative, la ferrovia a cavalli entrò in funzione il 13 ottobre 1858: era lunga quasi 18 km e trasportava in media 8 barche al giorno (anziché le 18 previste).
In servizio furono così immessi 28 carri a otto ruote e 6 carri a quattro, impiegando 75 persone, 70 cavalli e 72 cavalli da trasporto. I costi si rivelarono quindi subito molto alti.
Tant’è che, pur essendo l’ipposidra del Cattaneo un progetto tecnicamente all’avanguardia e unico in Europa, ben presto gli introiti si rivelarono inferiori alle aspettative a causa dello scarso numero di barche trasportate e al troppo tempo necessario per tirarle fuori dall’acqua.


Il declino
Nel 1859 la navigazione sul Lago Maggiore fu sospesa a causa dello scoppio della guerra d’indipendenza.
Tra il 1860 e il 1862 la ferrovia ippotrainata continuò stoicamente la sua attività in perdita (nonostante l’introduzione di alcune migliorie come il freno Toselli per i carri in discesa), trasportando mediamente 8 barche al giorno, la metà del numero necessario per coprire i costi di cavalli, carri e personale.
Il colpo di grazia le venne però dato dal prolungamento delle ferrovie a vapore Milano-Gallarate-Varese, con tronco di derivazione a Sesto Calende, e la Novara-Arona.
Infatti, nel settembre 1865, queste linee ferroviarie assunsero il trasporto dei legnami, delle pietre e degli altri materiali provenienti dal lago Maggiore, in modo da ridurre a un quarto circa il movimento della navigazione sul Ticino e sul Po, sino a Ferrara.
Pare inoltre che gli stessi barcaioli ne boicottarono l’utilizzo, in quanto “si sentivano feriti nell’orgoglio professionale, e vedevano il loro avvenire messo in discussione da quel nuovo mezzo tecnico”.
Cosa rimane oggi
Il trasporto dei marmi oggi
Nel 1857 venne chiuso il Laghetto di Santo Stefano e nel 1874 la Cava Madre fu collegata all’abitato di Candoglia da una strada; tuttavia il trasporto dei blocchi di marmo fino a Milano rimase via acqua fino al 1920, per poi passare su strada, tramite l’utilizzo di camion. Questo anche a causa dell’inizio dei lavori di copertura della Cerchia interna.

L’Ipposidra oggi
Dopo la dismissione nel 1865, l’Ipposidra cominciò a essere smantellata in buona parte del suo tracciato; nel 1874 il Municipio di Somma acquistò il ponte ferroviario sullo Strona per destinarlo al passaggio delle persone e delle carrozze.
Presso la stazione di cambio dei cavalli, a lato della Via Ducale che collegava Somma a Sesto Calende, l’edificio ferroviario si trasformò nella “Casa dei lavandai” poiché a tale scopo venivano impiegate le acque del torrente.
Il Parco del Ticino ha individuato un percorso escursionistico lungo circa 21 Km, concepito per raggiungere e visitare le principali rimanenze di questa speciale infrastruttura ormai perduta.
Il sentiero del Parco è segnalato con cartellonistica e da indicazioni che riportano le lettere IP (Ipposidra). Chi intende percorrerlo tutto il sentiero parte da Tornavento e arriva fino a Sesto Calende, dove il percorso culmina lungo l’alzaia, molto vicino al centro del paese.

Fonti
- http://milanoneisecoli.blogspot.com/2016/05/lipposidra-la-ferrovia-per-le-barche.html
- http://milanoneisecoli.blogspot.com/2014/11/candoglia-il-marmo-per-il-duomo.html
- https://it.wikipedia.org/wiki/Ipposidra
- https://www.duomomilano.it/it/infopage/la-cava-di-candoglia-alle-sorgenti-del-duomo/2/
- https://www.in-valgrande.it/marmo/Candoglia-e-il-marmo-del-Duomo-di-Milano.html
- http://www.ecosistemaverbano.org/scheda.html?id=6129
- https://www.caisomma.com/lipposidra-via-ferrata-delle-barche/
- https://archiviodelverbanocusioossola.com/tag/passo-sul-toce/
- Associazione Pro Sesto Calende, Sesto Calende: cenni storici, immagini di un tempo, Selegraph, 2004
- Francesco Ogliari e Gaspare Cilluffo, Dal lago Maggiore a Milano: la ferrovia delle barche e i trasporti su acqua nel secolo XIX, Pavia, Selecta, 2002
- Francesco Ogliari, Il Naviglio Grande, da Candoglia alla Darsena di Milano.
- La ferrovia delle barche da Tornavento a Sesto Calende, Riccardo Brianzoni https://www.youtube.com/watch?v=DMkX111l4rI
Molto utile e interessante per la scuola.
Grazie mille Alice! E’ un vero piacere poter far conoscere la storia dei nostri amati Navigli!
Bellissimo testo documentato e ricco di curiosità, ideale sia per studenti che per appassionati: grazie per la condivisione!
Grazie mille Fiammetta, contento vi sia utile e vi piaccia
una domanda: il marmo imbarcato sulle imbarcazioni sul lago, a vela, veniva poi trasferito su diverse imbarcazioni a Sesto Calende, oppure rimaneva sulle imbarcazioni di partenza cui veniva smontato l’albero? Grazie mille
Buongiorno Silvia, purtroppo non sono così informato… in rete e sui libri non si trovano molti dettagli su questo (per esempio, nemmeno la Fabbrica del Duomo possiede fotografie o immagini dei “loro” barconi che trasportavano i marmi del Duomo…). Mi informo e vediamo cosa trovo. Credo comunque che si cambiava imbarcazione.