Santa Maria alla fonte: la “Chiesetta Rossa” di Milano
Storia: La testimonianza documentaria più antica della chiesa risale al gennaio del 988: I’arcivescovo Landolfo permutò dei terreni situati presso il Lambro meridionale in località Fontigium o Fonticulum, vicino ad una basilica dedicata alla Madonna; questa chiesa doveva avere una certa importanza se nel documento viene chiamata “Basilica” e precisamente: “Basilica Santa Maria detta ad Fonticulum”. Il toponimo deriva forse dall’esistenza nei paraggi di un fontanile; questa località boscosa (Fonteggio) era ricca di fonti, di ruscelli, rogge e canali artificiali.
Questa di cui si parla, però, non è l’attuale chiesa, ma un antico edificio absidato con pianta a croce libera considerato paleocristiano o meglio precristiano. E’ stato interpretato come una “Cella memoriae” sepolcrale tricora (unico esemplare, così sembra, in Milano considerando la sua antichità) che poteva forse essere collegato con una costruzione molto più grande, una ricca domus romana di cui si sono trovate tracce negli ultimi restauri anche all’esterno della chiesa attuale. Questo primo sacello quindi può essere datato attorno al II° secolo dC. almeno nella parte più antica, prima di venire sottoposto agli ampliamenti dei secoli successivi. Consente questa datazione anche un resto di pavimentazione presente nell’apside, un raffinato mosaico con tessere bianche e nere che viene appunto riconosciuto come un’opera romana d’epoca imperiale (fine II° secolo).
Il ritrovamento archeologico, come pure l’aula rettangolare aggiunta verso sud nei secoli successivi, non possono essere troppo frettolosamente considerati ambienti di culto cristiano. La trasformazione in basilica cristiana è avvenuta probabilmente più tardi verso il IX° secolo.
Un’ampia ricostruzione storica dell’edificio è possibile dal principio del secolo XII, dopo la venuta di San Bernardo di Clairvaux nella regione milanese intorno al 1134-35, cioè dal tempo in cui sorsero alcuni monasteri (Chiaravalle, Morimondo…) e fra essi quello delle monache dell’ordine di San Benedetto, non lontano dalla chiesa di Santa Maria. Fu allora, e precisamente il 28 settembre 1139, che l’arcivescovo di Milano, Robaldo, dichiarò ufficialmente eretto questo monastero, affidando il governo e la custodia della chiesa alle monache benedettine. L’avvenimento documentato, ha una specifica importanza in quanto il monastero e la chiesa vengono definiti «costruiti recentemente» (noviter aedificati): è così sembrato lecito indurre che in tale data la ricostruzione integrale della chiesa, sopra l’antica basilica paleocristiana del II sec. d.C., fosse già avvenuta, anche se l’esame diretto di alcuni elementi architettonici (ritenuti di epoca successiva) può suscitare non poche perplessità in proposito.

La storia procede fornendoci notizie di una probabile distruzione o grave danneggiamento operata da Federico Barbarossa nel 1162 durante l’assedio di Milano e di una successivo danneggiamento della chiesa nel 1239, quando — secondo Frate Bonvesin de la Riva — Santa Maria di Fonteggio e il monastero furono coinvolti nella difesa operata dai milanesi contro l’esercito di Federico II, nipote del Barbarossa: l’esercito milanese causò un allagamento deviando le acque dei fontanili e canali verso il campo nemico, costringendo Federico II alla ritirata.
Ma la sorte della chiesa permane avversa: Galeazzo Visconti promosse l’esecuzione del Naviglio di Pavia, e seppure su un tracciato diverso da quello attuale — sembra tra l’anno 1359 e l’anno 1365 — un primo canale attraversò il territorio di Fonteggio, incominciando a creare problemi alla chiesa.
Nel 1455 il corteggio nuziale di Tristano Sforza e di Beatrice d’Este, proveniente da Pavia e diretto a Milano, sostò a “S. Maria Ruffa”. E’ questa la prima volta che S. Maria ad Fonticulum viene chiamata con il nuovo nome: Ruffa o Russa, poi Rossa fu il nome che divenne popolare per indicare questa chiesettaa fatta di mattoni, e certamente spiccante col suo colore rosso.
Durante i primi anni del 1600, lo scavo per il passaggio del Naviglio Pavese e la conseguente elevazione della strada infersero alla chiesa l’offesa più grave. Nell’intento di ovviare a questo suo forzato interramento, con conseguente infiltrazioni d’acqua, e per consentire l’accesso ad essa dalla strada si costruì nell’interno un soppalco, che venne a dividere orizzontalmente in due parti la chiesa: la parte alta destinata al culto, quella inferiore da utilizzare come deposito.

Un ponticello e un’apertura praticata sul fianco verso strada consentivano l’accesso alla nuova chiesa; l’antica porta sulla facciata immetteva invece nel cantinato. Era una soluzione di ripiego, ingenua, che impose alla chiesa una serie di conseguenti adattamenti, come la chiusura delle originarie monofore e l’apertura di nuove e più ampie finestre e causò inoltre la grave perdita di gran parte dei dipinti trecenteschi.
Nel 1800, in seguito alle leggi emanate durante l’occupazione francese, il monastero fu soppresso, e la chiesa, ceduta a privati, rimase tuttavia aperta al culto fino al 1951, anno in cui ebbero inizio alcune modifiche interne e si diede mano al massiccio intervento sulle pitture del catino absidale.
L’attuale chiesa: La chiesa si presenta oggi nel suo aspetto duecentesco romanico lombardo in mattoni a vista, con una semplice facciata a capanna su cui si aprono un unico portale e, più in alto, un’ampia monofora; sopra quest’ultima si vedono le poche tracce rimaste dell’affresco quattro-cinquecentesco raffigurante una Madonna col Bambino tra due angeli e i santi Benedetto e Bernardo (l’affresco si intravvede appena conosciamo il contenuto solo da antiche foto). Conclude la facciata una cornice dentellata sotto gli spioventi del tetto; al di sopra, una piccola campana sostituisce il campanile rimasto incompiuto. Nei fianchi della chiesa si aprono piccole monofore strombate. La zona absidale conserva i caratteri stilistici di quell’epoca: nella parete curvilinea dell’abside, scandita verticalmente da costoloni, si aprono finestrelle strette ed alte, a forte strombatura, profilate in cotto ed arenaria. la zona absidale e le mura esterne più antiche presentano in alto una cornice ad archi intrecciati su beccatelli, alcuni modellati foggia di teste umane.

L’interno è ad una sola navata ed aveva originariamente tre altari: l’altare maggiore dedicato alla Vergine, gli altri due a S. Dionigi vescovo ed a S. Stefano. A lato dell’altare maggiore vi erano infatti due cappelle con volta a crociera. Sul lato di fondo e sul fianco esterno delle cappelle vi erano piccole finestre. Si suppone che le pareti delle cappelle fossero tutte affrescate, ora solo alcune tracce sono visibili. Le pareti internamente sono intonacate, i pochi resti di affreschi rimasti fanno pensare che un tempo doveva essere tutta affrescata con episodi della passione di Cristo e della vita della Vergine.
Una rientranza verso l’interno del muro rivolto ad est ci guida a comprendere che la navata fu allungata nei primi trent’anni del XIV sec., naturalmente pure la facciata fu rifatta in quel periodo.
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Fonte:
– http://www.santamaria-allafonte.it/nuova-pagina